Nel 2021 gli investimenti nel settore healthcare sono cresciuti. Se da un lato la pandemia da Covid-19 ha dettato alcune tendenze, dall’altro emerge però una velocità diversa del settore nelle differenti, si pensi al gap fra Usa ed Eu, ad esempio. Lo scenario condiviso è sicuramente quello della crescita del venture capital a tutte le latitudini. Questo avviene sia per un cambiamento di ruolo dei private equity che sono sempre più in bilico fra quotato e non quotato e, di conseguenza, una maggiore specializzazione dei venture capital che, oltre alla classica attività nelle operazioni più mature, si indirizzano nelle differenti fasi di una startup, anche early stage.


“Sicuramente anche a livello europeo il venture capital vive un periodo d’oro, con grande interesse e sviluppo”, spiega a Dealflower Antonio Falcone (nella foto sotto), executive vice president di Utopia, la prima società di investimento semplice (Sis) autorizzata in Italia e dedicata al settore Life Sciences. “Si pensi al Nord Europa e alla Francia, dove il vc sta diventando trainante. I focus più interessanti sono sicuramente il fintech che galoppa in America e in Cina, mentre nell’Ue dove incontra ancora la barriera regolatoria. Sempre di più, poi, cresce l’interesse di meccanica e robotica, che vanno ad agevolare la trasformazione digitale delle industrie”. Ma anche dell’healthcare.


In questo settore, nello scenario italiano, ci sono pochissimi operatori strutturati che operano nell’early stage. Utopia, partecipata e promossa da Fondazione Golinelli, Fondazione di Sardegna e da Antonio Falcone, è una di questi ed è interamente dedicata a investimenti in healthcare, ponendosi come uno strumento flessibile per sostenere la ricerca e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali nel campo molecolare e medicale. Focus di Utopia, infatti, sono farmaci sperimentali innovativi in grado di modificare in modo radicale il decorso di malattie e offrire un’alternativa terapeutica a bisogni medici, chirurgici e diagnostici. La Sis, inoltre, investe anche in strumenti di diagnostica e biomarcatori per migliorare la gestione terapeutica di patologie critiche anche con l’utilizzo di intelligenza artificiale.
Il gap italiano
In questo scenario quale carte può giocarsi l’Italia? “Il mio timore è che si perda un treno”, spiega Falcone. La formazione, l’approccio sono fondamentali per lo sviluppo del settore nel prossimo decennio. “La startup è un mestiere difficile, si può fallire, è normale, ma non si può restare startup per molti anni. In questo modo non si crea una struttura”, sostiene. Occorre quindi uscire dall’ottica del consolidamento: il valore nell’innovazione ancora inesplorato è enorme, ma serve un investimento pubblico mirato per puntare alla qualità: “Manca ancora una politica strutturata sull’innovazione che vada a selezionare e scremare”, aggiunge.
In questo senso la creazione dei poli è sicuramente una strada da percorrere secondo Falcone: “Occorre concentrare università, ricerca e finanza. Le scelte devono essere dettate dalle regole del mercato in modo da estrarre valore”. In questo senso è funzionale l’arrivo di venture builder, ovvero un nuovo modello di open innovation dove l’obiettivo dell’imprenditore è quello di condividere il proprio know-how e le proprie risorse in modo da far raggiungere alla soluzione un livello di maturità strutturale da poter scalare il mercato. Questo potrebbe essere strategico per il settore healthcare, ma è una soluzione ancora poco diffusa nella penisola.
Ma per far crescere il settore potrebbero esserci anche altre strade. “I grandi investitori istituzionali nel venture capital allocano fra il 3 e il 5% dei loro asset. In Italia se si pensa al mondo dei fondi pensione si parla di un comparto da oltre 200 miliardi: se loro allocassero anche il 3% delle loro risorse ci sarebbero circa 6 miliardi nel settore, un boost che va ben oltre quello che può mettere lo stato”, puntualizza Falcone. In questo scenario, va notata anche la lentezza del corporate venture capital italiano: “nel resto del mondo sono più abituati al cvc sia perché sono più grandi e sia perché spesso si tratta di operatori quotati. Da anni, fuori dai nostri confini, hanno compreso che il modo migliore per avere la ricerca a minor costo è il corporate venture: questo permette di fare investimenti su cose interessanti”. Tuttavia, “anche in Italia si è iniziato a comprendere che questa è la strada, ma ci deve essere un po’ più di coraggio nel farlo”.
Verso il domani
Se è chiaro che nel venture capital il settore healthcare e il green sono dei macro-temi, ne consegue che la gestione delle risorse verdi e alimentari saranno cruciali – e strategiche – nel prossimo futuro e nel prossimo decennio. In questo contesto, “un settore di grandissimo interesse è la conservazione e lo stoccaggio – fa notare Falcone – oggi, infatti, la conservazione di un prodotto alimentare o di un farmaco è un tema enorme. Più proteggi il prodotto e più si allunga la vita commerciale. Ma non solo: questo impatta sulla logistica e tutti i costi annessi”.
fonte: https://dealflower.it/healthcare-mercato-biotech-italia-business-venture-capital-utopia/